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23 novembre 2009

Antonio Caldora prigioniero nel suo castello

Riportiamo un interessantissimo articolo dell’architetto Franco Valente, apparso sul suo sito www.francovalente.it riguardante la prigionia di Antonio Caldora, sconfitto da Alfonso di Aragona.

Antonio Caldora, dopo l’epica battaglia di Sessano, viene portato prigioniero nel suo castello di Carpinone da Alfonso d’Aragona

(estratto dal volume in preparazione: F. VALENTE, Castelli, torri e cinte fortificate del Molise)
(Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio
. Questo articolo è protetto da diritti Creative Commons)
Carpinone castello Caldora
Il castello di Carpinone
(…)
1442

Nel seguente anno 1442 Gurrello da Guglionesi si mise contro Antonio Caldora capeggiando la rivolta di Guglionesi e San Martino. Suo zio Raimondo, che nel frattempo era prigioniero di  Francesco Sforza, lo sollecitò con l’intermediazione di Francesco Montagano a ritornare nelle file angioine.
Renato d’Angiò stava per rassegnarsi alla sconfitta quando ricevette aiuto dai Genovesi. Ma intanto Alfonso avanzava conquistando Vico Equense e Massa Lubrense. Antonio, seguendo i consigli dello zio, era passato di nuovo con Renato, ma per pochissimo tempo perché avvertiva di non godere più di alcuna fiducia.
Caldora passava al servizio di Francesco Sforza e insieme a Giosia Acquaviva e Riccio da Montechiaro faceva ritorno in Abruzzo per riprendere la direzione di Napoli insieme a Giovanni Sforza proprio mentre Alfonso nel giugno di quell’anno era entrato nella capitale ridotta nella povertà più estrema.
Ma Antonio Caldora il 28 giugno del 1442 combatteva la battaglia più importante della sua vita nei pressi di Sessano nel Molise e del suo castello di Carpinone.
Il 2 giugno di quell’anno Alfonso era entrato in Napoli attraverso i cunicoli dell’acquedotto e, conquistata la città, aveva ricevuto immediatamente l’omaggio dei Seggi mentre Renato d’Angiò resisteva all’interno dei Castelli urbani.
L’aragonese decise allora di eliminare una volta per tutte Antonio Caldora che, con i suoi continui cambiamenti di fronte, rappresentava il più pericoloso dei suoi nemici.
sprondasino
Sprondasino
Mentre Antonio teneva duemila cavalieri nei pressi di Sprondasino, il castello era tenuto da Antonio Reale, fratello di latte del Caldora. Alfonso giunto ad Isernia inviò due messaggeri che si recarono presso il castello e, certi di trovarvi il Caldora, chiesero al Reale la resa incondizionata.
Alfonso a Isernia era stato accolto con grande entusiasmo sicché il 22 giugno sottoscrisse una serie di concessioni alla città e il giorno dopo fece dare 6 ducati a Rodrigo de Mur perché li distribuisse ad altrettanti fanti che erano stati inviati a Carpinone a spiare i movimenti del Caldora. Consegnava pure quattro ducati ad Antonio Giovanni di Lucera e Cicco Antonio di Isernia che avevano portato la buona notizia che gli abitanti di Carpinone volevano fargli atto di obbedienza .
Alfonso, ritenendo la situazione generale a lui favorevole, decise di muovere alla volta di Carpinone dove il Reale chiedeva al re spagnolo quattro giorni di tregua.
Alfonso li concesse dopo aver capito che in realtà le truppe di Caldora non si trovavano nel castello.
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Da come si svolsero i fatti successivi si deve ritenere che Alfonso abbia deciso di rinunciare all’assalto del castello preferendo prepararsi ad uno scontro in campo aperto andando incontro all’esercito di Antonio che in quel momento doveva trovarsi dalle parti di Sprondasino, un castello che si trovava sul colle di Terra Vecchia, tra Bagnoli del Trigno e Poggio Sannita, nella valle del Verrino, affluente del Trigno in agro di Civitanova del Sannio .
Angelo di Costanzo riferisce che l’esercito di Antonio era ad una selva, che si chiama la Castagna, lontana poche miglia … Il Rè per questo passò nel piano di Sessano, e si pose tra l’esercito del Caldora, e Carpenone, per impedire il soccorso, & apena fù accampato, che comparse dalla banda di Pescolanciano l’Esercito Caldoresco, che venne audacissimamente à presentargli la battaglia .
Della selva denominata Castagna si conserva ancora oggi il toponimo nella contrada immediatamente sottostante i ruderi del castello di Sprondasino, nelle vicinanze del fiume Verrino.
Caldora
Lo stemma dei Caldora
Possiamo essere sufficientemente sicuri che Alfonso, con i suoi uomini, sia passato ai piedi di Carpinone, all’esterno della seconda cinta muraria (la cui realizzazione probabilmente si deve proprio ai Caldora che vollero ampliare quella precedente riferibile al primo trecento) per superare il Carpino in basso ed inerpicarsi lungo il sentiero che oggi conduce alla chiesetta di S. Donato.
Si può condividere l’ipotesi del Perrella che sostiene che gli Aragonesi si siano accampati in posizione leggermente elevata in una zona che egli chiama Selva del Campo e che nelle moderne mappe viene definita Campodentro.
In questo punto, naturalmente protetto alla spalle da Colle Dolce e di fronte dal fossato naturale che raccoglie le acque del cosiddetto Vallone di Miranda prima che confluiscano nella gola del Carpino, fu posto l’accampamento.
Il suo esercito era costituito prevalentemente da  truppe siciliane e catalane.
Al termine della tregua l’esercito di Antonio mosse da Sprondasino verso il campo di Alfonso passando per Pescolanciano. Lo guidavano Paolo di Sangro che era il capitano primo d’autorità, e Giovanni Sforza con il proprio esercito.
I due eserciti, dunque, erano divisi dal Vallone di Miranda.
Vallone Miranda Carpino
Il vallone di Miranda
Le truppe così schierate non si mossero per vari giorni, fino al  28 giugno. Antonio dalla sponda sinistra del fiume teneva ferme le sue truppe osservando il nemico senza attaccare.
Alfonso che aveva deciso di prendere parte personalmente agli scontri, ritenne che quell’attesa fosse segno di debolezza e si preparò all’attacco: Il Rè ordinò in squadre il suo Esercito; ma non volsero quelli del suo consiglio che s’allontanasse dal Campo, perche era in gran prezzo, & in gran reputatione la cavalleria Caldoresca, e la Sforzesca, e però Giovan di Vintimiglia, del qual’é parlato molto sù, e ch’era in grandissima autorità co’l Rè, e l’amava più di tutti gl’altri, dubitando dell’esito della battaglia, persuase al Rè, che s’assicurasse, e si ritirasse con la sua corte in Venafro, ò vero à Capua, e lasciasse combattere l’Esercito. Il Rè sorridendo rispose, che questo era mal consiglio per voler vincere, perche in ogni esercito, che sarebbe troppo diminuire il campo con la partita sua, e per conseguenza haver manco speranza di vittoria; così movendo l’Esercito; il Caldora che havea mutato stile, e come in tempo di Rè Renato havea sempre schifato di venire à fatto d’arme, all’hora per necessità si sforzava di farlo, perche dubitava, che essendo perduta Napoli, e partito Rè Renato, il Conte Francesco non richiamasse le genti sue, & egli fosse restato solo con poca speranza di vincere; dall’altra parte il Rè con l’animo che gli dava la bona fortuna uscì dal campo per combattere, come già fece.
Alfonso, dunque, aveva deciso di condurre il primo attacco verso le linee nemiche, ma la manovra non riuscì per la pronta reazione dei soldati di Antonio che inseguirono i soldati catalani e siciliani che indietreggiavano fin nelle file che erano difese dal meglio dei capitani dell’aragonese.
La battaglia si consumava con un corpo a corpo che non faceva intravedere la prevalenza dell’uno sull’altro anche se Alfonso animava i suoi partecipando personalmente alla lotta: … dall’una parte, e dall’altra si combattio con grande sforzo, benche il Caldora senza molta fatica pose in volta l’avanti guardia, ch’era di Catalani, e Siciliani, perche la battaglia, dove stava il Rè con lo fiore de gli Baroni del Regno, e con lo conte Giacomo Piccinino, con un gran numero d’arme Bracceschi fecero tal resistenza, che’l Caldora dopo haver travagliato molto restò vinto, e priggione, e l’Esercito suo in tal modo dissipato, che ne restarono pochi che non fossero priggioni.
Giovanni Sforza, rimasto con appena 15 cavalieri, abbandonò il campo di battaglia dirigendosi verso la Marca dove si trovava suo fratello Francesco. Antonio Caldora circondato e ridotto agli estremi, fu costretto alla resa. Sceso da cavallo si prostrò davanti ad Alfonso per baciargli il piede.
Le cronache del tempo ed i commentatori di cose militari, come Agostino Nifo nel suo libro De Prophanitate, sostennero che in verità l’esito della battaglia fu determinato dal tradimento di Paolo di Sangro e dei suoi uomini che, nel momento cruciale dello scontro, passarono dalla parte del nemico gridando: Aragona, Aragona!
Civitacampomarano di Sangro
Lo stemma di Paolo di Sangro con i gigli angioini rivoltati nel castello di Civitacampomarano
Il tradimento di Paolo di Sangro era stato già concordato prima della battaglia sulla base di promesse di privilegi e feudi che puntualmente furono concessi all’indomani dello scontro. Tra questi Civitacampomarano ed il suo castello che furono assegnati sotto la condizione che le insegne dei di Sangro venissero poste sul portale, come ancora oggi sono, in uno scudo sorretto da un grifone contornato dai gigli angioini capovolti.
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Il castello di Carpinone
Giacomo Zurita sostenne che Alfonso, successivamente, abbia fatto edificare a Napoli una cappella dedicata ai Santi Pietro e Paolo perché questa battaglia per lui vittoriosa si tenne proprio alla vigilia della festa dei due santi.
Così Angelo di Costanzo descrisse la drammatica e disonorevole sconfitta di Antonio Caldora che usciva definitivamente dalla scena militare:
Questa vittoria l’usò con tanta clementia il Re, che parve volesse emulare Cesare Dittatore, perché subito ch’l Caldora fu reso, e che scese da cavallo, per baciargli il piede, il fe’ cavalcare, col volto benigno benignissimo gli disse: Conte voi m’havete fatto travagliare molto hoggi; andiamo in casa vostra, e facciatime carezze, ch’io sono già stanco. Il Caldora confuso di vergogna, disse: Signore, per vedere tanta benignità nella Maestà Vostra, mi pare haver vinto, havendo perduto.
Giunti che furono a Carpenone, ch’era l’hora tarda, fu apparecchiato il desinare al Re; e poi levata la tavola, essendo intorno una corona di Signori, di Cavalieri e di Capitani, il Re disse al Caldora, che volea vedere quelle cose, che havea guadagnate in quella giornata, cioè le suppellettili, ch’erano in quel Castello, e in un momento furono portate alla sala tutte le cose più belle, e tra le altre una cascia di giusta grandezza di cristallo, dove erano ventiquattromila ducati d’oro, e oltre la cascia un numero infinito di bellissimi vasi, che i Venetiani haveano mandati a presentare a Giacomo Caldora suo padre; v’era una grande argentaria più tosto reale, che di Barone semplice, ancor che fusse grande; un canestro di gioie di gran valore; gran quantità di tapazzarie, e d’armi, e infinite cose belle e pretiose.
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Il castello di Carpinone

All’hora i circostanti stavano ad aspettare che l’Re le compartisse tra loro; quando si voltò al Caldora e gli disse: Conte la virtù è tanto cosa bella, che a mio giuditio deve ancora lodarsi, & honorarsi da i nemici, io non solo ti dono la libertà, e tutte queste cose, fuor che un vaso di cristallo, che voglio; ma ti dono ancor tutto il tuo stato antico paterno, e materno, e voglio, che appresso di me habbi sempre honorato luogo; le molte Terre che havea acquistate tuo padre in Terra d’Otranto, in Terra di Bari, in Capitanata, & in Apruzzo, non posso donarti, perché voglio restituirle ai padroni antichi, che mi hanno servito; le genti non posso darti, perché finita la guerra, voglio che ’l Regno respiri dalli alloggiamenti, e basteno le ordinarie, che tiene il Principe di Taranto Gran Contestabile del Regno. Condone a te, & a tutti gli altri della tua Famiglia, la memoria di tutte le offese, e voglio, che godono ancora li lor beni, & attendano, come son tutti valorosi ad esser quieti, e fideli, e ricordevoli di questi benefici.

Il Caldora, inginocchiato in terra, dopo haverli baciati i piedi, gli rese quelle gratie, che si poteano in parole; e perché all’ultimo il Re parea, che l’avesse notato d’infedeltà cominciò a scusarsi, e dirle ch’egli sempre hebbe pensiero, e desiderio di servire Maestà Sua; ma che da molti inimici di quella era stato avisato, che la Maestà Sua tenea tanto intenso odio, con la memoria, e col seme di Iacomo Caldora suo padre, che havea quattordici anni servito ostinatamente la parte Angioina, e per questo desiderava estirpare tutta Casa caldora, & era stata la caggione, che non era venuta a servirla, e si offerse di mostrare le lettere, e fe’ venire una cascietta di scritture; ma quel gran re in questo ancora volse imitare Giulio Cesare Dittatore, e comandò che dinante a lui si ardessero tutte le scritture.
Secondo la tradizione, ripresa dal Perrella , il tesoro di Antonio Caldora comprendeva anche una statuetta d’oro di S. Michele Arcangelo che il padre Jacopo aveva sottratto dal santuario del Gargano.
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Carpinone
Quella statuetta fu successivamente fusa per coniare monete che furono chiamate alfonsine e che portavano il motto: Dominus mihi adjutor, et me timebo inimicos meos. Il vescovo di Manfredonia, poi, avrebbe pregato Alfonso di rimediare facendo realizzare e donare alla Grotta di S. Michele una statua d’argento di maggiore dimensione e maggiore valore. Statua che sarebbe stata poi sottratta dal successore Ferdinando I che nel 1461 ne avrebbe tratto monete d’argento con l’immagine di S. Michele e che perciò presero il nome di coronati dell’Angelo.
Alfonso rimase nel castello di Carpinone il 28 e il 29 e poi partì per l’Abruzzo dove, preceduto dalla notizia della grande vittoria di Sessano, ricevette l’omaggio di tutti i baroni.
Nel mese di ottobre Alfonso d’Aragona concesse ad Antonio i territori di Palena, Pacentro, Monteodorisio, Archi, Aversa, Valva, Eboli e Trivento. Dopo il giuramento di fedeltà nelle mani di mani di Lopez Ximen d’Urrea  le sue truppe passarono al servizio di Alfonso mentre il re restituiva alla moglie di Antonio i preziosi che le aveva sottratto a Carpinone.
Solo alla fine dell’anno Alfonso, ritornato a Napoli, riusciva a prendere definitivamente Castel Nuovo, Castel Capuano e Castel dell’Ovo da cui Renato era fuggito per la Francia fin dal mese di luglio ed il 22 febbraio del 1443 percorreva trionfalmente la città per partecipare al Parlamento generale del regno. Era presente alle manifestazioni anche Francesco Pandone che nel Parlamento veniva ufficialmente reintegrato nel possesso della città di Venafro.
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Stemma dei Ciciniello, successivamente feudatari di Carpinone