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15 aprile 2012

Gli antefatti della battaglia di Sessano

A cura di Enio Monaco.

Per Antonio Caldora, Carpinone, nella sua particolare posizione rappresentava un baluardo di ultima speranza nella continua lotta contro Aragona e pertanto anch'egli continuava colà ad ammucchiare quasi tutti i suoi tesori.
Furono proprio le ricchezze concentrate nel castello e la  posizione strategica del paese, alle porte della regione, che spinsero e fecero maturare, nella mente di ALFONSO V D’ARAGONA, il disegno di conquistare Carpinone,  il quale dopo svariati e diversi indiretti tentativi, il 28 giugno dell’anno 1442, si affrontava con Antonio Caldora nella pianura di Sessano e dopo una cruenta battaglia conquistava il feudo.
E’ da precisare che il re aveva mandato avanti FRANCESCO PANDONE e PALERMO CENTURIONE affinchè, nottetempo, tentassero con scale di introdursi nel paese, in attesa del suo arrivo con il resto dell’esercito.
A questo punto, mentre ALFONSO giungeva non molto distante da Carpinone e per la precisione nei pressi di Monteroduni, la vicenda bellica si aricchisce di un episodio singolare. Non esistendo l’attuale ponte sul Volturno, bisognava passare il fiume a guado. Arrivato il re e raggiunta l’altra riva con una parte dell’esercito, mentre attendeva il resto dei suoi uomini che attraversavano, notò che un certo Bugardo, soldato del capitano Rodolfo Perugino, era in grosse difficoltà  e dibattendosi nell’acqua veniva travolto dalla corrente perché gli era venuto meno il cavallo su cui viaggiava. Alfonso V gridò ai suoi chè soccorressero l’uomo in difficoltà ma non si mosse alcuno. Allora il re spronò decisamente il suo destriero e si lanciò in acqua in aiuto dello sventurato. Fu come una calamita per tutti che fece scattare il coraggio dei soldati che si gettarono anchessi nel fiume. Bugardo fu tratto in salvo, ma mezzo morto; fu appeso ad un albero, a testa in giù, ed espulse la molta acqua ingerita. La prima parola che pronunziò, appena gli fu possibile fu “Aragona, Aragona”. Questo commosse molto Alfonso d’Aragona e, da quel giorno, Bugardo fu sempre tenuto in ottima considerazione e riempito di doni.

Intanto il Palermo Centurione, secondo i piani, giunto a Carpinone, clandestinamente riuscì ad entrarvi di notte, senza che se ne accorgessero gli abitanti, ma non poté conquistare il castello. La brillante azione non valse a nulla, poiché il Palermo, che attendeva con ansia il re Alfonso, per consolidare il frutto del suo audace colpo di mano, ebbe notizia invece che stava per sopraggiungere Antonio Caldora e pertanto, mosso dal timore di perdere il ricavato del saccheggio, con rapida decisione, abbandonò Carpinone. Alfonso V che saliva da Isernia, fu informato e ne rimase molto turbato sia perché gli era sfuggita di mano una posizione strategica e sia perché aveva perso l’occasione di impossessarsi delle enormi ricchezze e dei tesori che erano custoditi nel maniero. Pertanto le operazioni subivano una variante e il re altro non poté fare che provvedere allo svernamento delle truppe nelle terre vicine, mentre egli tornava indietro a Venafro relegando in prigione, nella rocca Ianula di San Germano (Cassino) il responsabile della perdita di Carpinone.
Quello che appare strano comunque in questi avvenimenti è che re Alfonso V passa due volte per Isernia in quella circostanza, ma non si pone minimamente il problema di conquistarla. Era evidente che il perno della resistenza antiaragonese era nella zona del Caldora. Una volta eliminato questi, gli sarebbe stato facile diventare padrone di tutte le terre dintorno. Il baluardo pertanto era rappresentato dal castello di Carpinone. Adesso, ancora un’altra particolare vicenda arricchisce la storia di quel particolare momento.
Arrivato che fu Antonio Caldora a Carpinone, accortosi che Alfonso rappresentava sempre più un pericolo perché prosperava continuamente, volle accattivarsi la sua simpatia e rappacificarsi con lui e, in pegno di fedeltà al patto di riconciliazione, gli consegnava il proprio figlio TRISTANO, giovincello di rara bellezza e di leggiadri costumi. Il re accettò, sia per liberarsi dalle insistenze del suo nemico, sia perché con questo atto di clemenza voleva eliminare, in un momento assai decisivo, un notevole ostacolo alla realizzazione del suo piano di conquista.
Tristano fu assegnato come compagno a FERDINANDO, figlio del re; e sicuramente Alfonso V non sarebbe stato alieno di dargli in matrimonio la propria figlia maggiore, se avesse ricevuto dal Caldora, più esplicite testimonianze di fedeltà e lealtà. Purtroppo la instabilità di Antonio ne fu la rovina.
Non passava molto tempo da questo episodio che FRANCESCO SFORZA, avendo saputo degli intrighi tra Antonio e Alfonso V, contro ogni previsione, indignato, entrò in Abruzzo e occupò le terre dei Caldora ed attaccò battaglia con RAIMONDO CALDORA ( zio di Antonio) il quale rimasto sconfitto, fu mandato in prigione nel castello di Fermo.
Colpendo Caldora significava guastare i piani di re Alfonso, il quale scatenava subito una controffensiva, muovendo verso la Puglia per attaccare le terre di pertinenza dello Sforza.
A questo punto lo Sforza tentava una mossa diplomatica: liberava Raimondo Caldora a condizione che quest’ultimo si impegnasse a staccare il nipote da re Alfonso e farlo ritornare dalla parte dell’Angioino. Raimondo sia per gratitudine verso lo Sforza sia per sentimento di fedeltà a Renato d’Angiò riusciva nell’intento. Per salvare il giovane Tristano, dato come ostaggio, il patto fra zio e nipote fu tenuto segreto e pertanto Antonio faceva pervenire ad Alfonso V una supplica, affinché inviasse il figli Tristano a Carpinone perché la madre, affetta da grave malattia, desiderava di rivederlo prima di morire.
Non si sa se la malattia della moglie di Antonio Caldora era una realtà o una invenzione diplomatica, ma Alfonso, pur avendo intuito lo sviluppo che avrebbe preso la situazione, volle ancora una volta dimostrare la sua generosità, rimandando Tristano con tutti gli onori e con molti ricchi doni. Era l’anno 1441. La separazione di Antonio dall’Aragonese, allorquando già si delineava la sconfitta degli Angioini, fu un errore che portò alla rovina tutti i discendenti del famoso e valoroso generale GIACOMO CALDORA.
Il 2 giugno del 1442 Alfonso d’Aragona conquistò Napoli cacciandone Renato d’Angiò e dopo pochi giorni si organizza per bene e si mette in movimento per debellare il Caldora che egli riteneva uno dei nemici più potenti e di grande ostacolo alla sua espansione.
Partito da Napoli, il giorno seguente arriva ad Isernia che allora stava dalla parte del Caldora, particolarmente perché era vicina al potente signore che dominava quasi tutte le terre della zona. Isernia, subito, gli spedì dei messi che offrirono all’Aragonese la dedizione della città e pertanto quest’ultimo verso sera entrava in città senza colpo ferire  e veniva accolto insieme al suo presidio.
Comincia a questo punto  una serie di gesti di devozione che porterà  Alfonso V a insignire la città di Isernia con il titolo di “fedelissima” e a dargli tanti altri privilegi contenuti in un diploma datato 22 giugno 1442 in cui, tra l’altro, il re esprimeva la sua gratitudine alla città  per i grandi aiuti ricevuti in quel frangente (?)
Avvenuto tutto ciò, Alfonso V d’Aragona si accampa in una zona prossima ad Isernia e si prepara ad attaccare Carpinone che considerava il punto nevralgico della sua azione bellica.