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29 febbraio 2012

Domenica 4 marzo rivive la "Transiberiana d'Italia"

Domenica prossima 4 marzo 2012 rivivrà per un giorno i mito della "Transiberiana d'Italia", la linea ferroviaria Carpinone-Sulmona che è stata recentemente chiusa perchè improduttiva.
L'evento è un viaggio speciale organizzato dalle associazione molisane Le Rotaie in collaborazione con LocoMolise e Associazione Europea Ferrovieri.
La manifestazione “In viaggio sulla transiberiana d'Italia” con mostre, convegni e il singolare viaggio con il treno storico Campobasso-Isernia-Sulmona con fermate a richiesta in tutte le stazioni.
L'evento si apre il 2 marzo con la mostra di modellismo ferroviario e cimeli storici fino all'11; il 3 spazio al convegno “Quale sarà il futuro della transiberiana d'Italia”, entrambi presso la sede de
L'officina del tempo libero ad Isernia. Il 4 marzo viaggio attraverso gli scenari della Sulmona-Carpinone in occasione della V Giornata delle ferrovie dimenticate.
Purtroppo i biglietti di partecipazione (quota di 30 euro a testa) sono già tutti esauriti da tempo ma si parla già di una nuova edizione nei prossimi mesi.
Questi sono gli orari di passaggio del treno:
Speriamo che questa manifestazione serva a svegliare la coscienza di "qualcuno" e che possa contribuire a riportare in vita questa linea ferroviaria di altissimo interesse naturalistico e paesaggistico.
Noi di CarpinoneT saremo presenti alla stazione di Carpinone per testimoniare il passaggio di questo treno speciale.

28 febbraio 2012

Una brutta pagina di storia

Riceviamo e pubblichiamo una ricerca storica di Enio Monaco riguardante la strenua resistenza dei Carpinonesi contro i Garibaldini, fatti di portata nazionale e di grande risalto per la loro  spietatezza e lasciaronouna scia di sangue ed altro. 

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Riporto fedelmente quanto sono riuscito ad attingere dai documenti storici di quel periodo scritti e commentati da noti cronisti al seguito  come A.Mario-Cesare Abba-Tagliaferri-Iadopi ed altri ancora, senza grossi commenti e ne giudizi sull’accaduto limitandomi a dire che anche se la Storia ha condannato certi atti, bisognerebbe in parte considerare che la massa popolare veniva allora fomentata con menzogne e travisamenti verso i garibaldini, i quali non sempre avevano comportamenti irreprensibili e venivano fatti apparire come mostri agli occhi della gente del meridione; con questo non intendo minimamente giustificare ne sminuire i gravi atti perpetrati contro le camicie rosse di Garibaldi, atti che comunque sono da condannare per la loro spietatezza,  crudeltà  e orrori, come sono da condannare tutte le vicende belliche che inevitabilmente scaturiscono verso un odio senza limiti.
Raccontiamo i fatti.
Nelle campagne di Carpinone, dopo la battaglia di Pettoranello in cui fu quasi massacrata la colonna Garibaldina  comandata del Colonnello NULLO inviato da GARIBALDI per spegnere gli ultimi focolai di resistenza nelle colline e montagne della nostra zona, furono trucidate  a colpi di scure,  di pietre e pali di legno, ventotto Camicie Rosse ed il loro sangue si allarga come una macchia incancellabile sui ricordi del passato.
Prima di spiegare questo avvenimento è opportuno ed interessante raccontare anche sommariamente la battaglia che il colonnello Nullo affrontò nella zona di Pettoranello e che coinvolgeva strategicamente anche Carpinone, e  i personaggi che ne furono protagonisti compresa la figura del loro comandante.
Il colonnello FRANCESCO NULLO di Bergamo (il baiardo garibaldino) era considerato un prode poiché sbarcato con Garibaldi tra i primi in Sicilia, benchè ferito ad una gamba, non aveva ceduto la bandiera e fra una grandine di pallottole  non aveva cessato di gridare: “Viva Garibaldi”.  Il comandante, tra l’altro, più tardi rivelava che nel tumulo di Isernia mutilarono orribilmente gli avversari presi.
Un cafone vantava lo squisito sapore del lombo di Don Peppino cotto alla bracia ( come in effetti risultò nel corso del processo all’Assise di Santa Maria Capua Vetere nel giugno-luglio 1864); rivolto al suo vetturino il colonnello chiese che cosa significava il termine cafone gli fu risposto: ”cafoni, Eccellenza, sono i contadini mentre i proprietari si chiamano galantuomini”.
 Il capitano ZASIO chiedeva al capitano MARIO (altri due combattenti mandati con Nullo) con riferimento ai contadini isernini e della zona, tanto biasimati per le loro azioni crudeli :
” E stimi tu, questi straccioni con sandali di pelle di capra, con feltro a tronco di cono, messi sossopra per riavere il Borbone e la schiavitù, discendenti legittimi di quei terribili e pomposi guerrieri, che armavano talvolta ottantamila fanti e ottomila cavalli, e sfoggiavano tuniche marziali di preziosi colori e scudi intarsiati d’oro e d’argento, e tenerissimi della libertà, facevano sudar sangue ai Romani intesi a domarli e, domi e pesti e scaduti potevano aiutarli validamente contro Annibale, e nella rassegna delle milizie dei soci in Roma figurare con settantasettemila?”.
“ Io non dubito, rispose Mario, che in codesti cafoni circoli puro il sangue sannitico”.
Dopo molti tentennamenti il Nullo, proveniente dalla parte di BOIANO con una parte della colonna, dopo aver pernottato a Cantalupo, dove furono allarmati da un latore che a Isernia stava per arrivare da Capua il Generale SCOTTI con 4.000 uomini per dar man forte agli insorti e soldati borbonici, decise di fare perno su Pettoranello,  poiché a suo parere da quel posto era possibile gettarsi sul nemico prima che arrivassero i rinforzi del suddetto comandante.
Nello spiegamento strategico effettuato dai garibaldini, il capitano Alberto Mario dispiegò un una mezza compagnia a catena, agli ordini del comandante Campagnano, attraverso la gola che inerpicandosi dalla pianura d’Isernia, fa da anello di congiunzione fra le falde di CARPINONE e Pettoranello.
Il Nullo fu accolto a Pettoranello in casa SANTORO come gradito ospite. Inoltre una colonna fu fatta salire sul monte a destra quasi di fronte a Pettoranello e due compagnie al comando del capitano DE MARCO furono inviate verso Carpinone.
Il Nullo, ancor prima di andare su Pettoranello, essendo stato informato che numerosi reazionari erano dislocati a Carpinone dove si trovava anche uno dei depositi delle armi e uno dei centri di arruolamento per le truppe borboniche, dette incarico al capitano Zasio di fare un sopralluogo in quel comune e tentare di impossessarsi delle armi che ivi venivano trovate.
Infatti lo Zasio lasciò Pettoranello con un battaglione di 200 militi, tra cui una ventina di soldati ex papalini, e procedette per  Carpinone. I rischi erano molti, ma si procedette con cautela e lentezza, mentre gli ex militari papalini, insieme a pochi altrii esploravano i lati della strada.
Zasio dislocava anche una compagnia dei suoi su di un colle di fronte ai reazionari che si intravedevano sulle alture vicine.Un’altra compagnia la piazzava di riserva su di colle poco lontano.
Il piano strategico di Nullo prevedeva che la zona di Isernia doveva essere stretta da due lati, in quanto i reparti schierati a Pettoranello dovevano scendere a sud della città, passando per le frazioni della Capruccia e Valle Soda e per contrada San Cosmo, mentre i reparti piazzati sul monte dirimpetto a Pettoranello e nella zona di Carpinone dovevano raggiungere la parte terminale nord di Isernia. Più p meno queste azioni preliminari erano già finite intorno alle 16.
Alle 16,30 scattò la manovra borbonica da Isernia e lo Zasio ne fu spettatore dalla collina su cui si era piazzato con i suoi. Egli vide contadini armati e colonne militari, che, uscendo da Isernia, procedevano verso Pettoranello, senza sparare colpi di fucileria.
Lo schieramento di marcia era stato predisposto a gran semicerchio in questo ordine: un battaglione di gendarmi, preceduto da uno squadrone di cavalleria, avanzava in posizione molto arretrata sulla strada consolare: ai lati della strada, sui campi procedeva mezzo squadrone di cavalleria in posizione di punta; alle ali, nelle colline circostanti, torme di contadini in armi si piazzavano a catena, cominciando da Isernia, a mano a mano che si guadagnava la pendice che separava Pettoranello dalla pianura. Questi reparti di contadini, formanti le due ali estreme, allargarono la zona di schieramento, secondo indicazioni tattiche ricevute, spingendosi a sinistra fino ad occupare il monte sovrastante Carpinone e a destra fino ad investire la pendice di Pettoranello. Il capitano Monteleone aveva il comando delle truppe in marcia.
Era facile intuire che i borbonici si muovevano, secondo un piano tattico ben preciso,  per scardinare il fronte nemico ed imbottigliare i garibaldini a Pettoranello fino a sbarrare l’unica strada trafficabile ad ogni possibilità di ritirata.
Il Nullo, per infondere coraggio ai suoi ed entusiasmo tra i combattenti, volle dare inizio alla battaglia  con un fatto di segnalato valore. A questo scopo ordinò a Mario di raccogliere le guide ed i soldati di ordinanza e scendere con essi alla taverna. Quivi il maggiore CALDESI ed un certo Mingon si aggiunsero al drappello che risultò formato da 18 uomini a cavallo, i quali si lanciarono a galoppo sulla strada consolare per affrontare i borbonici. E’ inutile dire che il fatto suscitò entusiasmo; il gruppo dei Carpinonesi aggregati alle truppe garibaldine, testimoni del fatto, plaudirono con le mani e con grida che echeggiando tra i monti furono udite dai 18 che già si erano spinti lontani.  Sembrò che l’azione fosse riuscita in pieno, perché il drappello a briglia sciolta  caricò il nemico. All’improvviso però i garibaldini di Carpinone cominciarono ad urlare: “Indietro, indietro! I cafoni al monte!”. Gli inseguitori li udirono, ma, ciò nonostante, inebriati da quel successo iniziale, proseguirono l’irruzione, mentre vivissime ed inaspettate scariche di fucileria borbonica cominciavano a colpire di fianco il manipolo di cavalleria dalla pendice avanzata del colle di Pettoranello.
Il Nullo aveva appena terminato un lauto pranzo in casa dei suoi ospiti innaffIato da ottimo vino e allietato da numerosi brindisi e si era seduto al pianoforte, allorquando rintronava nella sala l’eco delle prime fucilate.
Strano questo comandante che si abbandonava alla spensieratezza di un lieto desinare in una famiglia borghese, mentre i suoi uomini, per lo più inesperti, vanno incontro alla morte! Dai documenti e specialmente dalla relazione di Alberto Mario risulta che egli, arroccato nel prestigio delle tante vittorie garibaldine a cui aveva largamente contribuito con il suo valore, credeva di essere venuto in queste terre a combattere contro birilli umani. Ma bastarono quei pochi sinistri colpi a strapparlo al castello delle sue illusioni e richiamarlo alla realtà, poiché subito montò in sella lanciandosi al galoppo, con il seguito  e con i soldati di scorta, verso la linea del fuoco.
Il Nullo, giunto sul luogo delle operazioni, non riusciva a rendersi conto come quella importante posizione fosse stata presa  senza lotta. “pertanto , racconta il Mario, si accese un combattimento particolare tra noi cavalieri e i cafoni, che dietro agli alberi ci bersagliavano diabolicamente a pochi passi. Al sottotenente Bettoni, delle guide, una palla infranse una gamba e lo condussero alla nostra piccola ambulanza all’osteria. Noi cacciando i cavalli su per l’erta nell’oliveto con rivoltelle e con spade venimmo alle strette con i cafoni. Intanto scesi in aiuto alquanto da Carpinone, e accorsi quelli che io collocai nella gola, dopo un accanito contrasto ci riusci fatto di ributtare gli insorti in piena rotta. Nullo mi ordinò di assumere il comando dei sopraggiunti, d’inseguire i cafoni, di regolarmi secondo le circostanze, e di tornare a raguagliarlo. Egli e il maggiore Caldesi e le guide voltarono il cavallo  verso Pettorano”.
 Il Mario afferma  che il Nullo “ temendo di perdere Pettorano, divisò di fare il cammino sino alla borgata”. Ma sembra una pezza a colore. Sta di fatto che l’improvvisa galoppata verso Pettoranello pesò negativamente sulla fama del Nullo. “Alle prime schioppettate fuggì” dice il De Sivo.
Uno  scrittore che si cela sotto il pseudonimo di Marulli , polemizzando col Iadopi ebbe a dire”…non appena i borboniani si accorsero dei garibaldini, loro a a passo accelerato van contro, li circondano, li assalgono, li vincono. Nulli e pochi suoi fidati  fuggono”.
Il Nullo fuggendo si dimostrò inferiore a se stesso. Anche gli eroi hanno momenti di debolezza!
Il Mario Aggiunge: ”Messi insieme un centocinquanta soldati, li guidai contro i fuggenti. L’avanguardia regia respinta  dalla nostra carica a cavallo, il successivo ritirarsi dei cafoni e lo affacciarsi del mio corpo persecutore gettarono qualche scompiglio nella colonna nemica, la quale ripiegava sovra Isernia. Tentò essa due volte di fronteggiarmi, ma raccolti i miei in massa l’assaltai alla baionetta, e pervenni a gettare una parte sulla sinistra ed impedire il suo ricongiungimento col rimanente che per la consolare si rifugiò in Isernia”.
In effetti il Mario continuò l’inseguimento fino al ponte dell’Acqua cioè fino alle porte di Isernia, nella convinzione che anche altri reparti avessero imitato le sue mosse. Invece giunto a Isernia si accorse di esser solo. La scarsa resistenza opposta dai reazionari fu ritenuta, a prima vista, un successo del travolgente impeto dei garibaldini fino al punto che il Mario ebbe anche l’idea di  entrare con i suoi uomini alla rinfusa nella città, ma era un grande rischio. Rimase un poco perplesso e poi si impadroniva delle collinette che limitano la pianura  e sovrastano Isernia ove si collocava. Poi siccome era notte e non arrivava nessun ordine dal suo comandante se ne ritornò al quartiere generale di Pettoranello per riferire sul risultato delle sue operazioni, per apprendere i particolari della “vittoria su tutta la linea” e per ricevere nuove istruzioni. Quale delusione! Il ripiegamento dei borbonici non era un successo dell’impeto dei garibaldini ma era una manovra tattica, per trascinare le forze del nemico, come dimostreranno i fatti.
Contemporaneamente all’avanzata dei borbonici a raggiera, come si è descritto prima, se ne sviluppa un’altra formata da un corpo di gendarmi ed un altro di volontari che uscendo da Isernia sud attraverso le vie mulattiere di San Cosmo e quindi Valle Soda vanno a Pettoranello, e lo investono sostenuti in simultanea da una manovra a cerchio degli altri borbonici.
I difensori di Pettoranello, presi  tra due fuochi, senza il comando del Nullo, non ingaggiarono nemmeno battaglia ma pensarono di darsi a precipitosa fuga, nel tentativo di raggiungere le altre truppe garibaldine che operavano sulla strada consolare. Ma tremila contadini armati, sbucati dai versanti dei monti ne precludevano l’operazione.
La colonna per tentare di tenere una difesa e salvarsi almeno in parte, cercò di arrampicarsi per le scoscese balze, mentre i borbonici, conquistata Pettoranello, saccheggiarono e dettero alle fiamme il palazzo Santoro che aveva ospitato il colonnello Nullo. In quel momento Nullo arrivava alla Taverna ma non gli fu possibile risalire al paese e nemmeno riprendere il comando delle truppe. Egli se ne rese subito conto perché fu accolto da una micidiale sparatoria che partiva da un gruppo di gendarmi e contadini appostati alle finestre della taverna e sparsi tutti lì intorno. Vanamente tentò di aprirsi un varco con i suoi della retroguardia tentando continue irruzioni nello schieramento nemico.
L’unica possibilità che rimase alla retroguardia fu quella di rifugiarsi sui monti vicini con la speranza di ricevere man forte dai garibaldini  scampati a Carpinone, ma fu una vana speranza.
Fu triste per il Nullo vedersi abbandonato. Con lui rimanevano soltanto il maggiore Caldesi, sette guide e qualche milite della retroguardia.
Questo piccolo gruppo comunque, posto di fronte ad una realtà che diventava sempre più seria, seppe ritrovare il coraggio della disperazione, in quanto, spronando con violenza i cavalli, a forza di minacciose grida, di colpi di sciabola e rivoltella, riuscì a penetrare tra le file nemiche e passare oltre.
Poté in questo modo prendere la via di Cantalupo, l’unica possibile. Ormai non poteva ricongiungersi con le truppe garibaldine dell’ala carpinonese formata dalle due compagnie comandate  da De Marco e dai 200 militi  del capitano Emilio Zasio. Basti pensare che il De Marco con i suoi non potette nemmeno entrare in Carpinone perché sbaragliato dai borbonici. 
Le truppe borboniche in quella zona furono appoggiati da molti contadini maggiormente di Castelpetroso e Carpinone e stabilirono l’epicentro di un’azione che non dette nessuno scampo alla ritirata garibaldina e fu una carneficina senza pietà.
Ed è opportuno ancora rifarsi al memoriale del comandante Alberto Mario: ”La terribile situazione non era la morte, giudicata inevitabile, sibbene il modo della morte. Quegli spietati non accordavano quartiere, e i caduti nelle loro mani, o feriti, o sani, lentamente uccidevano”.
Dopo la battaglia carneficina di Pettoranello, i garibaldini, scampati a quel sanguinoso evento, si trovarono sbandati un poco dappertutto e proprio a Carpinone incapparono nei nostri contadini reazionari che li massacrarono mentre prigionieri venivano portati nelle carceri di Isernia. (Processo di C.basso del 20.11.1863. 116 bis/1)
Per questi inauditi ed atroci fatti vi sono le descrizioni nei Processi celebratisi successivamente.
Nel luogo detto “sopra li colli” due garibaldini, trascinati prigionieri, furono massacrati con colpi di pietre e di fucile da una massa di contadini indigeni inferociti; I loro corpi(quello che ne rimaneva) negli anni ’50, sono stati rinvenuti sulla salita colle (dove adesso è l’edificio scolastico ed era il Municipio) mentre  la ditta di Imprese Costruzioni di Emilio Monaco procedeva allo scavo in quella zona per edificare il fabbricato adibito  alle scuole.
Altri cinque garibaldini, tenuti prigionieri dagli abitanti di Carpinone, riescono a fuggire ma vengono raggiunti e uccisi barbaramente. Anche i loro corpi,   qualche anno prima del secondo conflitto mondiale, vengono ritrovati nei pressi del ponticello della  cunetta sulla ex  S.S. 85, nella curva in prossimità del Cimitero.
  Ancora altri 14 furono massacrati dai contadini Carpinonesi mentre venivano portati nel carcere di Isernia, sotto la scorta della guardia urbana D’Uva, nonostante l’intervento di un gendarme borbonico che comunque riuscì a salvare la vita ad alcuni che erano in quel gruppo.  ( Processo verbale dell’interrogatorio di Gennaro de Jeronimis davanti al giudice istruttore  del distretto di Isernia. Carpinone 07.12.1860 A.S. Caserta Proc; prot. n° 13/6 II°)
L’arciprete Scioli fu testimone oculare dell’eccidio di questi quattordici  garibaldini in Largo della Croce  o Corpo della Croce(piazza Mercato) in Carpinone. La deposizione del sacerdote è registrata testualmente:
 “Verso l’alba del dì 18 dello scorso ottobre, da persone venute in mia casa, che non ricordo, mi fu riferito che taluni garibaldini presi nelle vicine montagne, fuggitivi pel fatto d’arme avvenuto nella sera innanzi in Pettorano, erano stati qui uccisi, senza indicarne gli autori.
Alle ore 16 del mattino istesso intesi, che da Castel petroso si conducevano arrestati altri garibaldini, e dubitando che avessero potuto affrontare lo stesso destino, fui sollecito a vestirmi ed ad uscire di casa; e giunto al “Largo della Croce” per la calca del popolo e per lo impedimento che dalla stessa mi veniva  non potei passare oltre, quando vidi che quelli infelici arrestati, al numero di sedici in diciassette venivano barbaramente a colpi di scure, pali e pietre sacrificati, e nel tempo istesso intesi varie esplosioni di arma da fuoco. Allora mi sforzai di vincere ogni resistenza, e salito sul gradino ov’è fissa “la Croce”, raccomandavo l’anima a quei moribondi, lungi da me circa 40 passi.
Dopo sgombrata la folla, mi avvicinai, e vidi il suddetto numero di cadaveri, e scorsi un infelice fra quelli, che ancora respirava, e vidi Leonardo Foglia di Saverio, gli diede un forte calcio sotto il mento, perché stava supino a terra, ed aprendo la bocca esalò l’ultimo respiro. Il detto Foglia giunse in quel luogo di sangue alla mia presenza, dopo dello scempio di tanti infelici, e quando solamente l'indicato individuo era morente".
Dalla sentenza del Tribunale di Napoli Corte di Appello : “Orrendo a dirsi sarebbe il modo con che quegli sventurati venivano trucidati; il piombo, le scure, le mazze, i sassi, e i calci erano avvicendati nell’opera nefanda. In fine si chiudeva quella sanguinosa giornata  col sacrificarsi di altre sette vittime, e cosi lo scempio di ventotto difensori della patria rimaneva non estinta la fame di quei Cannibali Carpinonesi, ma le vittime mancarono”.
“ Nel luogo detto Neviera “fosso della Calcara” i cadaveri di 19 garibaldini trucidati dai reazionari restano sepolti da uno strato di terreno argilloso”.(Dal rapporto del medico Giambattista Valente al giudice istruttore del distretto di Isernia allegato al processo a carico di Leonardo Bertone ed altri. Carpinone 11/12/1860 A.S. Caserta Proc. Pol. N° 13/06 II.
“ Verso sera, i contadini di Carpinone assalgono e massacrano i garibaldini fatti prigionieri dai reazionari di Macchiagodena ed infieriscono con inaudita ferocia sui moribondi” (Dal Processo Verbale dell’interrogatorio di Giovanni di Maggio davanti al giudice regio del mandamento di Carpinone)
E  dulcis in fundo, durante l’assalto ed incendio del palazzo Iadopi in Isernia optato dalla plebaglia di contadini della zona contro le ultime resistenze garibaldine così viene descritto l’avvenimento:   
“Formicolava la plebaglia nel saccheggio: le scale piene di gente rapinatrice che saliva, che scendeva, chi per trasportare il già preso, chi per afferrar altro. Alcuni contrastavano il rubato ai rapinatori; altri per non compromettere il bottino e per far più presto nel rubare cacciavano mobili, arnesi, stoviglie dal balcone. In tale strepito  ed avvicendarsi del saccheggio venne appiccato il fuoco in più lati del maestoso edificio….Tra fumo nerissimo e crepitante si inoltravano le voragini di fuoco per le sale, per gli androni, per la magnifica scalinata. Rotolanti per le volte fino a che bruciate le travature con terribile fracasso rovinavano travi, volte, pavimenti e tetti da rimanere solamente mura coperte di fuoco, di fumo, di fiamme…..
L’orrendo spettacolo non destava alcuna pietà nella inumana orda gavazzante della rovina.
E quando i pochi ruderi esterni  che avanzavano dalla interna rovina del palazzo parea che volessero diroccarsi, perché mancanti di catasto e d’appoggio, ebbra d’inconsueta ferocia, come a più tremende espansioni della stessa, gridava “Viva Francesco II”, lanciando teschi umani recisi che erano rotolati per la strada dai carpinonesi Antonio Fabrizio, Michele  “La Vacca”, e molti di Pesche.
I cittadini che portarono allo spettacolo dell’assalto la nota macabra dei teschi furon cinque cioè: i sunnominati Fabrizio e Martella, da Carpinone, e altri tre di Pesche e Sessano. I teschi recisi  da sette cadaveri di garibaldini furono portati a Isernia issati su due pali. Quando finì il macabro gioco di rotolarli sulla strada,(attuale piazza Carducci) furono appesi come trofeo ai balconi di palazzo Iadopi”

A  Carpinone il fermento popolare aveva avuto  inizio verso la mezzanotte del 30 settembre del 1860, allorquando giungeva da Isernia la notizia dell’imminente arrivo di un distaccamento della cavalleria regia. Il popolo inneggia subito a Francesco II portando in giro, in processione, le effigi dei Borboni.
Gaetano Fazio (nostro concittadino) caposezione della Guardia Nazionale, per non farsi coinvolgere, tenta di evitare, durante il suo turno, che venga assalito il posto di guardia.
Il reazionario Giovanni Tamasi ed altri contadini riescono comunque   a neutralizzare  l’avamposto delle guardie. L’opinione pubblica, indicherà invece come promotore di questi atti, Gaetano Fazio che sembrava complottare  continuamente con il Tamasi ed aveva di proposito abbandonato il posto di guardia prima dell’assalto, lasciandolo sguarnito. ( Di questo se ne fa menzione nel Processo verbale dell’interrogatorio di certo Domenico Ciccone davanti al giudice del Mandamento di Carpinone il 26.09.1861.  A.S. Processi Politici .
Pertanto, disarmato il posto di guardia, gli insorti carpinonesi si rendono fautori di  “orge tali da spaventare ogni onesto cittadino” mentre i capi reazionari sono festosamente accolti in casa Fazio.
Il Canonico Luigi Venditti, il sindaco Giuseppe Malerba ed il giudice Achille Simonetti invano tentarono di sedare la rivolta.
I rivoltosi improvvisano una cerimonia erigendo un altare per venerare le effigie di Francesco II, mentre  mastro Pietro Venditti  aizza la plebe , tenendo fra le mani le interiora sanguinanti di un animale, profferendo ad alta voce : “A canne (misura locale per la legna) si debbono vendere, come queste, ( e mostrava le interiora) le budella dei liberali” (dalla Requisitoria del Procuratore Generale del Re presso la Corte di Assise di Campobasso nel processo a carico di Domenico Venditti ed altri. Campobasso 20.11.1863 A.S.  C.basso n° 116 bis/1.)
Quasi tutti i liberali del paese tentano di salvarsi dandosi alla fuga. Il notaio De Simone, dopo essersi nascosto prima in casa propria e poi in quella dell’arciprete, scappa e si rifugia a Pesche dove il 3 ottobre viene arrestato e portato ad Isernia e poi liberato i giorno dopo dai volontari del Governatore De Luca.
Gli insorti prelevavano da casa l’arciprete Scioli e gli imponevano di cantare il Te Deum in chiesa in onore di Francesco II. Presenti alla cerimonia tutte le autorità del paese che sperano in questa maniera, di evitare il peggio.
Ciò nonostante  verso sera, da Isernia, arriva al comando dei reazionari l’ordine di arrestare  27 persone  “tra preti e galantuomini”.
L’Arciprete Scioli intercede presso Giovanni Tamasi, uno dei capi reazionari, per tentare di evitare arbitrii e qust’ultimo lo rassicura con la sua “parola d’onore”.
Si procede  ad eseguire gli ordini e i contadini rivol tosi arrestano numerosi “galantuomini”,  tra questi i signori Costanzo Petrunti, Saverio Di Blasio, Saverio Antonucci, Domenico Ciccone; i giovani figli di Gennaro Ciccone; Vincenzo, Fedele e Francesco De Jeronimis, Fiorangelo Tamasi ed altri.
Gli arrestati furono condotti ad Isernia e via facendo dovettero sopportare crudeli sevizie. Rinchiusi nelle carceri trovarono la salvezza all’arrivo del suddetto Governatore De Luca.
In Carpinone , nel frattempo, tutte le famiglie sospette venivano disturbate continuamente dai rivoltosi con estorsioni, chiedendo danaro, viveri ed altro, sotto la minaccia di mettere le case a ferro e fuoco.

18 febbraio 2012

Carpinone - Cercemaggiore 4-2

Reduci entrambe le squadre da periodi non positivi, questo incontro è un ulteriore banco di prova per ripartire. Ne viene fuori una buona gara, combattuta ai limiti dell'agonismo e l'incontro si decide negli ultimi minuti quando il risultato sorride al Carpinone, tornato al successo dopo diverse gare senza vittoria, tre punti arrivati rimontando due volte situazioni di svantaggio.
Nell'aprire il capitolo Cercemaggiore, però, non si può dimenticare la continua situazione di emergenza affrontata dalla compagine allenata da mister D'Uva, nessun cambio da effettuare, nei momenti decisivi, quando può affiorare la stanchezza, a disposizione del tecnico nessuna carta da giocare.

CARPINONE CALCIO: Santilli, Tamasi, Errico (Minielli), Di Paolo F., Venditti A., Del Matto, Venditti G. (Di Paolo A.), Venditti M., Monaco (Rocchio), Di Blasio, Scaldaferro. All. Mercuri
CERCEMAGGIORE: Magnifico, Rosa, Ruggi, Petraroia, Scala, Basile, Zurlo Ant., Zurlo And., Yamoul, Iannantuono, Di Stefano. All. D'Uva.
Arbitro: Rossi di Termoli
Reti: 28' Yamoul (CE), 33' Di Blasio (CA), 57' Yamoul (CE), 61' Scaldaferro (CA), 79' Venditti M. (CA), 83' Rocchio (CA)


4. giornata rit 17 febbraio
Calcio Club Olympus San Giuliano Del S. 6-3
Campobasso Calcio Real Gildone 1-0
Carpinone Calcio Cercemaggiore 4-2
Casalnuovo Monterot. Geosecure Bojano 5-1
Oratino A.S.D. Spinete 4-4
Quercus Cercemagg. Macchia Valfortore 3-1
S.Angelo Limosano Volturino 2-1
Torella Del Sannio Fossaltese 2-3


CLASSIFICA P.ti G V N P GF GS
1 Casalnuovo Monterot. 47 19 15 2 2 58 19
2 Quercus Cercemagg. 41 18 13 2 3 46 18
3 Volturino 35 19 10 5 4 36 25
4 Geosecure Bojano 33 18 10 3 5 37 25
5 San Giuliano Del S. 32 18 10 2 6 46 33
6 Calcio Club Olympus 31 18 9 4 5 43 33
7 Spinete 28 18 8 4 6 39 31
8 Real Gildone 28 18 8 4 6 31 24
9 Carpinone Calcio 27 19 8 3 8 37 42
10 Cercemaggiore 24 18 7 3 8 36 35
11 S.Angelo Limosano 23 17 7 2 8 36 33
12 Fossaltese 22 19 6 4 9 46 55
13 Macchia Valfortore 16 19 4 4 11 25 44
14 Campobasso Calcio 11 19 2 5 12 24 53
15 Torella Del Sannio 9 18 2 3 13 19 49
16 Oratino A.S.D. 8 19 2 2 15 31 71


5. giornata rit 24 febbraio
Fossaltese Campobasso Calcio
Geosecure Bojano Calcio Club Olympus
Macchia Valfortore Cercemaggiore
Quercus Cercemagg. Casalnuovo Monterot.
Real Gildone Oratino A.S.D.
San Giuliano Del S. Torella Del Sannio
Spinete S.Angelo Limosano
Volturino Carpinone Calcio


Classifica marcatori
Di Blasio 11
Monaco 7
Venditti M 5
Scaldaferro 3
Errico 2
Nini 2
Rocchio 2
Giancola 1
Venditti G 1
Del Matto 1
Venditti A 1

04 febbraio 2012

L'eccezionale nevicata del 3 febbraio 2012

Pubblichiamo qui alcune foto dell'eccezionale nevicata del 3 febbraio che a Carpinone ha raggiunto i 70cm di altezza, evento che non si verificava da tantissimi anni (1956???) e che per tanti Carpinonesi è una cosa assolutamente inedita.
Le foto sono state prese dai social network, gli autori sono Luca Tamasi, Vincenzo Ciccone, Sandra Tamasi, Alessandra Doganieri, Di Valente e Mauro Pizzuti.
Aggiungeremo altre foto non appena saranno disponibili e invitiamo tutti a mandare le foto alla casella carpinone@gmail.com
Piazza Mercato Monumento ai caduti Piazza Concezione Giardinetti di San Rocco Statua di Padre Pio Piazza Concezione Viale Stazione Auto sommersa di neve Monumento Panorama innevato Viale Stazione Particolare Viale Stazione Via Olmo Via Fosso Via Pontenuovo Panorama Panorama Via Pontenuovo Via Roma Via Roma Stazione Stazione Panorama dal Pontenuovo Piazza Mercato Campanile di San Rocco La Collegiata Il Municipio