A cura di Enio Monaco
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La storia di Carpinone è preminentemente legata al suo Castello Caldora che conserva ancora il suo maestoso aspetto. "Il castello di Carpinone si eleva a picco su di una massa rocciosa che fronteggia a distanza la città di Isernia. La ripidezza della roccia, ed il suo bello selvaggio ed orrido non si dimentica da chi l'abbia veduto."
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La storia di Carpinone è preminentemente legata al suo Castello Caldora che conserva ancora il suo maestoso aspetto. "Il castello di Carpinone si eleva a picco su di una massa rocciosa che fronteggia a distanza la città di Isernia. La ripidezza della roccia, ed il suo bello selvaggio ed orrido non si dimentica da chi l'abbia veduto."
Purtroppo mani profane ne hanno trasformato l’interno con il passare degli anni e quasi nulla lascia trapelare degli antichi sfarzi e dei suoi pregiati ricordi.
La parte esterna nella quasi totalità è rimasta intatta. Il castello si componeva di 5 torri che andavano a racchiudere una zona quadrangolare con numerosi ambienti ed un vasto cortile oltre ad un piccolo parco che lo circondava. Originariamente aveva una porta per accedere al cortile e un portone con ponte elevatoio al livello della chiesa Madre.
Gli alloggi per i soldati e le scuderie con diversi servizi erano al piano terra. Al di sopra vi era un piano nobile con un enorme salone ed una cappella di famiglia per la celebrazione delle funzioni sacre. Al piano superiore le camere da letto. Era presente anche una botola, nella zona a picco verso i monti, mascherata, che serviva a far precipitare nell’abisso gli indesiderabili.
Nel sotterraneo vi erano le prigioni ed i locali per le torture come in ogni castello che si rispetti. Rotonde sporgenti che servivano come posto di osservazione per tenere d’occhio la vallata e quant’altro, sono ancora esistenti per poter guardare uno splendido panorama.
Il castello di Carpinone non è stato mai espugnato poiché inaccessibile da tutti i lati tranne uno protetto anche questo da un ampio fossato con il ponte elevatoio, tirato da catene e che scorreva a saracinesca nelle guide scavate negli stipiti; era altresì cinto da una cerchia di mura alte e poderose.
In questa dimora regale vissero gli antichi Baroni e mossero i primi passi con Giacomo, Antonio, Raimondo Caldora, tanti altri insigni guerrieri.
In questa dimora regale vissero gli antichi Baroni e mossero i primi passi con Giacomo, Antonio, Raimondo Caldora, tanti altri insigni guerrieri.
“Tra queste mura si ordirono intrighi e fiorirono idilli e qui sicuramente attesero di riprendere la propria donna, nella prima notte di nozze, i vassalli freschi sposi: taluni inorgogliti dalla concessa preferenza dell’amplesso ritenuto onorifico, talaltri veramente indispettiti per l’odiosa precedenza che il “diritto della prima notte” concedeva al Signore”(dichiarato dal Perrella ma non ritenuto veritiero).
Quasi certamente fu edificato nel secolo XIV dalla famiglia quando signori del paese erano i conti di Isernia e fu fatto abbattere dall’imperatore FEDERICO II DI SVEVIA poiché ravvisava nella potente fortificazione del castello un pericolo per il potere centrale.
Il Maniero (quindi tutto il feudo) passava in successione nelle mani di diversi personaggi; da TOMMASO D’EVOLI che lo ricostruiva a PIETRO TUCCIACO morto nel 1300, quindi fino al 1306 andò al Principe RAIMONDO BERENGARIO figlio del Duca di Calabria. Dal 1306 al 1315 al Principe PIETRO di GRAVINA figlio di ROBERTO IL GUISCARDO.
Nel corso dell’anno 1300, dopo altri feudatari, passava nelle mani della Principessa GIOVANNA di DURAZZO moglie del Conte d’ARTOIS. Intorno al 1382 va di nuovo nelle mani della famiglia d’EVOLI e precisamente del Marchese NICOLA D’EVOLI che ricevette il feudo da CARLO III di DURAZZO in cambio di collaborazione data a Roma.
Il Maniero (quindi tutto il feudo) passava in successione nelle mani di diversi personaggi; da TOMMASO D’EVOLI che lo ricostruiva a PIETRO TUCCIACO morto nel 1300, quindi fino al 1306 andò al Principe RAIMONDO BERENGARIO figlio del Duca di Calabria. Dal 1306 al 1315 al Principe PIETRO di GRAVINA figlio di ROBERTO IL GUISCARDO.
Nel corso dell’anno 1300, dopo altri feudatari, passava nelle mani della Principessa GIOVANNA di DURAZZO moglie del Conte d’ARTOIS. Intorno al 1382 va di nuovo nelle mani della famiglia d’EVOLI e precisamente del Marchese NICOLA D’EVOLI che ricevette il feudo da CARLO III di DURAZZO in cambio di collaborazione data a Roma.
Il feudo di Carpinone veniva considerato di grande valenza strategica e quindi ha visto un continuo succedersi di principi e quant’altri miravano al dominio dello stesso.
Finalmente dopo un ventennio il tutto passa nelle mani della famiglia CALDORA che dette un‘impronta storica di grosso rilievo al feudo.
Costoro profusero un grande impegno per incentivare il feudo, facendolo sviluppare notevolmente, addirittura riducendo i canoni che gravavano sulla proprietà e quindi migliorando l’economia dell’epoca.
GIACOMO CALDORA abbelliva con grande gusto l’interno del Castello riportandolo al fasto nobiliare ad alle grandi vestigia del passato, ne ampliava gli ambienti, ne decorava le pareti con splendidi arazzi orientali, rivestiva i pavimenti con preziosi tappeti, ornava i mobili con suppellettili d’oro e argento, tutti ornamenti provenienti dalla Repubblica di Venezia che li aveva dati in dono al condottiero per il suo valoroso comportamento quando era al suo servigio. I boschi limitrofi, ricchi di selvaggina erano l’ideale per trascorrere in quel posto delle giornate di grande svago e diletto.
Lo storico Perrella ebbe a dire che al castello, in quell’epoca, vigeva il privilegio dello ”IUS PRIMAE NOCTIS” diritto dell’epoca che dimostrava il potere sconfinato ma il Masciotta smentisce l’enfatica diceria che invogliava ancor più a vivere in quel posto, memore e testimone di glorie e dolori, di gioie e sventure, di amori e odi, infatti il figlio Antonio lo prescelse a dimora stabile e fu proprio nelle mani di quest’ultimo, dissennato e volubile anche se valente combattente, che il feudo subiva scosse travolto dalle sventure del suddetto, ma mai avvennero le violente celebrazioni del “diritto della prima notte”.
Finalmente dopo un ventennio il tutto passa nelle mani della famiglia CALDORA che dette un‘impronta storica di grosso rilievo al feudo.
Costoro profusero un grande impegno per incentivare il feudo, facendolo sviluppare notevolmente, addirittura riducendo i canoni che gravavano sulla proprietà e quindi migliorando l’economia dell’epoca.
GIACOMO CALDORA abbelliva con grande gusto l’interno del Castello riportandolo al fasto nobiliare ad alle grandi vestigia del passato, ne ampliava gli ambienti, ne decorava le pareti con splendidi arazzi orientali, rivestiva i pavimenti con preziosi tappeti, ornava i mobili con suppellettili d’oro e argento, tutti ornamenti provenienti dalla Repubblica di Venezia che li aveva dati in dono al condottiero per il suo valoroso comportamento quando era al suo servigio. I boschi limitrofi, ricchi di selvaggina erano l’ideale per trascorrere in quel posto delle giornate di grande svago e diletto.
Lo storico Perrella ebbe a dire che al castello, in quell’epoca, vigeva il privilegio dello ”IUS PRIMAE NOCTIS” diritto dell’epoca che dimostrava il potere sconfinato ma il Masciotta smentisce l’enfatica diceria che invogliava ancor più a vivere in quel posto, memore e testimone di glorie e dolori, di gioie e sventure, di amori e odi, infatti il figlio Antonio lo prescelse a dimora stabile e fu proprio nelle mani di quest’ultimo, dissennato e volubile anche se valente combattente, che il feudo subiva scosse travolto dalle sventure del suddetto, ma mai avvennero le violente celebrazioni del “diritto della prima notte”.